giovedì 16 dicembre 2010
giovedì 9 dicembre 2010
giovedì 18 novembre 2010
giovedì 21 ottobre 2010
Tipi da università.
Categoria "conquiste sbagliate".
C’è quello che mi fissa, che somiglia ad un mio acerrimo nemico ma no, non è lui. È solo somigliante e “alto” allo stesso modo, cioè un metro e un tappo.
C’è quello che si è accozzato e si spera che non abbia un secondo fine perché sarebbe bene che fosse consapevole che non ha nemmeno una minima possibilità. Non che me la tiri, ma non è proprio il mio tipo e preferisco rimanere zitella.
Categoria "malati di mente".
Causa tagli, scioperi, casini vari delle università italiane i corsi non sono più divisi per gruppi di lettere. Per questo siamo trecento in aule da poco più di duecento persone. Ergo, per non stare seduti sul pavimento metà dei frequentanti arriva in facoltà un’ora prima. Alle 7,30 di mattina sono fuori al freddo e al gelo (stamattina erano 4 gradi, mi ha comunicato mia zia quando ho detto che aspettando il treno per poco non congelavo) anche se gli edifici prima delle 8 non aprono e le lezioni iniziano dopo le 8,30. Insomma, ci sono quelli pazzi. Semplicemente pazzi.
Categoria "principesse".
C’è quella che arriva alle 8,25 quando per i motivi di cui sopra l’aula è strapiena. Sono occupate anche tutte le sedie aggiunte laterali e c’è già gente per terra. E lei, fresca fresca fa il giro dell’aula (tutta l’aula) chiedendo per ogni posto vuoto se è libero. Ovviamente sono tutti occupati, magari i ragazzi non ci sono perché sono fuori a fumare o al bar, ma se noi (70 persone, mica 2 imbecilli) siamo accampati sulle sedie laterali, per terra o direttamente in piedi, arrabattati nei modi più strani, sepolti sotto borse, zaini, giacchetti e sembriamo contorsionisti per riuscire a prendere due righe di appunti, perché te che sei arrivata mezz’ora dopo di noi dovresti riuscire a trovare un posto? Cos’è, noi che siamo accampati, arrabattati, sepolti e ci contorciamo per riuscire a scrivere in queste condizioni siamo degli imbecilli masochisti che non abbiamo pensato a chiedere se ci sono dei posti liberi? Cos’è, te che arrivi fresca fresca alle 8.25, un’ora dopo i più, sei la principessa per cui dovrebbero alzarsi e lasciarti il loro posto, occupato da un'ora?
Categoria "il rispetto non so nemmeno cosa sia".
C’è quello che, nelle condizioni vergognose in cui siamo a questi corsi (vedi sopra) occupa 7 posti con varie parti del quotidiano freepress che ti danno all’entrata e quando gli chiedi se sono occupati ti risponde: “Si, sono occupati…cioè per queste due ore no perché non vengono, ma per le quattro dopo si”. No scusa, fammi capire: io mi alzo alle 6, prendo il primo treno invece che del secondo (che sarebbe sufficiente, perché arriverei comunque 20 minuti prima) e corro che sembro Bolt per trovare almeno un posto sulle sedie laterali e te cosa fai? Tieni il posto a 6 (SEI) persone che dormiranno fino alle 9,45, si fermeranno al bar per un quarto d’ora e arriveranno in classe con calma alle 10 e mezzo quando il professore avrà già cominciato perché tanto te gli hai tenuto il posto, a discapito di altri 6 poveri imbecilli che si sono alzati prima dell’alba, hanno corso come matti e sono in classe dalle 8 del mattino. Grazie. Tante grazie, sì.
Categoria "so tutto io".
C'è chi:
"Dirittoprivatononloseguotantoèfacilelopassocomunque.
Matematicanonlaseguotantohofattoloscientificovuoichenonmiriesca?
Aziendalenonlaseguotantolaprofprendepariparidallibroeillibrolosoleggereanchedame."
Bah, se lo dici te. Però. Io mi chiedo: perchè dato che tutti la pensate così le aule sono ancora strapiene e non si trova un buco nemmeno a pagarlo?
Categoria "ragiono per partito preso".
C'è chi:
"Il professore A è noioso, non riesco a seguirlo, vengo solo perché prende le firme e quando le avrà prese tanti saluti, tanto studio sulle slide anche se sono schematiche." - Dato che è così non sarebbe meglio mollare le lezioni e prendere il libro consigliato per i non frequentanti e studiare su quello invece che sulle slide che sono davvero schematiche, e almeno lasciare i posti a chi vuole seguire?
"Il professore B parla un’ora e mezzo ma dice tre cose, si perde in esempi, a che serve?" - Quando poi all’esame ti chiederà proprio gli esempi ne riparliamo.
"Il professore C dice le stesse cose del libro." - Beh, ma cosa vuoi che dica? Non se le può mica inventare? Ovviamente gli argomenti sono quelli, no?
"Il professore D è partito dalle cose di prima superiore, ma io le so già quindi è inutile…potrebbe partire un po’ più avanti." - Certo, perché tutti sanno tutto al mondo.
Oh, c’è anche gente normale e simpatica eh!
C’è quello che mi fissa, che somiglia ad un mio acerrimo nemico ma no, non è lui. È solo somigliante e “alto” allo stesso modo, cioè un metro e un tappo.
C’è quello che si è accozzato e si spera che non abbia un secondo fine perché sarebbe bene che fosse consapevole che non ha nemmeno una minima possibilità. Non che me la tiri, ma non è proprio il mio tipo e preferisco rimanere zitella.
Categoria "malati di mente".
Causa tagli, scioperi, casini vari delle università italiane i corsi non sono più divisi per gruppi di lettere. Per questo siamo trecento in aule da poco più di duecento persone. Ergo, per non stare seduti sul pavimento metà dei frequentanti arriva in facoltà un’ora prima. Alle 7,30 di mattina sono fuori al freddo e al gelo (stamattina erano 4 gradi, mi ha comunicato mia zia quando ho detto che aspettando il treno per poco non congelavo) anche se gli edifici prima delle 8 non aprono e le lezioni iniziano dopo le 8,30. Insomma, ci sono quelli pazzi. Semplicemente pazzi.
Categoria "principesse".
C’è quella che arriva alle 8,25 quando per i motivi di cui sopra l’aula è strapiena. Sono occupate anche tutte le sedie aggiunte laterali e c’è già gente per terra. E lei, fresca fresca fa il giro dell’aula (tutta l’aula) chiedendo per ogni posto vuoto se è libero. Ovviamente sono tutti occupati, magari i ragazzi non ci sono perché sono fuori a fumare o al bar, ma se noi (70 persone, mica 2 imbecilli) siamo accampati sulle sedie laterali, per terra o direttamente in piedi, arrabattati nei modi più strani, sepolti sotto borse, zaini, giacchetti e sembriamo contorsionisti per riuscire a prendere due righe di appunti, perché te che sei arrivata mezz’ora dopo di noi dovresti riuscire a trovare un posto? Cos’è, noi che siamo accampati, arrabattati, sepolti e ci contorciamo per riuscire a scrivere in queste condizioni siamo degli imbecilli masochisti che non abbiamo pensato a chiedere se ci sono dei posti liberi? Cos’è, te che arrivi fresca fresca alle 8.25, un’ora dopo i più, sei la principessa per cui dovrebbero alzarsi e lasciarti il loro posto, occupato da un'ora?
Categoria "il rispetto non so nemmeno cosa sia".
C’è quello che, nelle condizioni vergognose in cui siamo a questi corsi (vedi sopra) occupa 7 posti con varie parti del quotidiano freepress che ti danno all’entrata e quando gli chiedi se sono occupati ti risponde: “Si, sono occupati…cioè per queste due ore no perché non vengono, ma per le quattro dopo si”. No scusa, fammi capire: io mi alzo alle 6, prendo il primo treno invece che del secondo (che sarebbe sufficiente, perché arriverei comunque 20 minuti prima) e corro che sembro Bolt per trovare almeno un posto sulle sedie laterali e te cosa fai? Tieni il posto a 6 (SEI) persone che dormiranno fino alle 9,45, si fermeranno al bar per un quarto d’ora e arriveranno in classe con calma alle 10 e mezzo quando il professore avrà già cominciato perché tanto te gli hai tenuto il posto, a discapito di altri 6 poveri imbecilli che si sono alzati prima dell’alba, hanno corso come matti e sono in classe dalle 8 del mattino. Grazie. Tante grazie, sì.
Categoria "so tutto io".
C'è chi:
"Dirittoprivatononloseguotantoèfacilelopassocomunque.
Matematicanonlaseguotantohofattoloscientificovuoichenonmiriesca?
Aziendalenonlaseguotantolaprofprendepariparidallibroeillibrolosoleggereanchedame."
Bah, se lo dici te. Però. Io mi chiedo: perchè dato che tutti la pensate così le aule sono ancora strapiene e non si trova un buco nemmeno a pagarlo?
Categoria "ragiono per partito preso".
C'è chi:
"Il professore A è noioso, non riesco a seguirlo, vengo solo perché prende le firme e quando le avrà prese tanti saluti, tanto studio sulle slide anche se sono schematiche." - Dato che è così non sarebbe meglio mollare le lezioni e prendere il libro consigliato per i non frequentanti e studiare su quello invece che sulle slide che sono davvero schematiche, e almeno lasciare i posti a chi vuole seguire?
"Il professore B parla un’ora e mezzo ma dice tre cose, si perde in esempi, a che serve?" - Quando poi all’esame ti chiederà proprio gli esempi ne riparliamo.
"Il professore C dice le stesse cose del libro." - Beh, ma cosa vuoi che dica? Non se le può mica inventare? Ovviamente gli argomenti sono quelli, no?
"Il professore D è partito dalle cose di prima superiore, ma io le so già quindi è inutile…potrebbe partire un po’ più avanti." - Certo, perché tutti sanno tutto al mondo.
Oh, c’è anche gente normale e simpatica eh!
mercoledì 25 agosto 2010
You can't always get what you want.
Uno dei miei difetti più grandi è, sicuramente, l’essere sempre in qualsiasi situazione e in qualsiasi momento insoddisfatta. S-E-M-P-R-E.
E questo è probabilmente, anzi certamente, dovuto al mio essere terribilmente viziata. Sì, lo ammetto. Viziata da piccola, con tuttituttitutti i giocattoli che volevo a disposizione appena usciti nei negozi, come poteva il mio comportamento cambiare da grande? Ora che, ovunque vado ci sono vetrine che mi chiamano, borse, scarpe, vestiti che vogliono essere comprati? E che anche se rimango in casa vengo tentata dagli shops online, o dalle semplici idee partorite dalla mia testolina in merito a outfit da creare partendo da cose che ho già ma che poi finiscono per mancare di un pezzo fondamentale che deve essere acquistato?
Forse il problema maggiore non è nemmeno questa smania di comprarecomprarecomprare. Forse il problema è che non mi accontento che ne so, del mercato. No. E se per quanto riguarda il vestiario vero e proprio il massimo è Zara, e per le scarpe il mio adorato Asos, il casino arriva con le BORSE. Sono quelle che, prima o poi, mi (ci) manderanno in rovina, I know!
Si forse sono malata di shopping, ha ragione mia mamma. Sono una shopaholic.
La mia "malattia" si acuisce in periodi come questo, quando si avvicina l'inizio di una nuova stagione e nei negozi ci sono i nuovi arrivi. Comincio a stilare wishlist paurose. Che vanno dalla Balenciaga del colore improponibile (mi piacciono tutti), al vestitino di Zara, alle mary jane di Miu Miu, al completino di Intimissimi (fra un po' ho più completini intimi che vestiti, ed ho detto tutto), alla clutch con il teschio di Alexander McQueen (che non avrò mai), allo smalto di Chanel che costa "solo" 20 euro, eccetera eccetera. Potrei andare avanti per pagine e pagine.
Però i tempi in cui bastava che dicessi che era uscita una nuova Barbie e il giorno dopo ero al negozio a comprarla sono finiti. Sono cresciuta e lo so che non si può avere tutto quello che si vuole (nonostante a casa mia pensino che non l'abbia capito).
Quiiiiiiiindiiiiiiii.....forse è meglio se vado a togliere giusto qualcosina dalla wishlist di questo autunno-inverno!
PS: ah! La mia insoddisfazione non si esaurisce certo con il "bisogno" di abiti, scarpe e borse nuove. Ultimamente ho la “necessità” di cambiare macchina, nonostante la mia abbia solo 2 anni e qualche mese e sia stata ordinata nuova esattamente come la volevo ben nove mesi prima di avere la patente -non avrei proprio nulla di cui lamentarmi-. Ma questa è un'altra storia.
E questo è probabilmente, anzi certamente, dovuto al mio essere terribilmente viziata. Sì, lo ammetto. Viziata da piccola, con tuttituttitutti i giocattoli che volevo a disposizione appena usciti nei negozi, come poteva il mio comportamento cambiare da grande? Ora che, ovunque vado ci sono vetrine che mi chiamano, borse, scarpe, vestiti che vogliono essere comprati? E che anche se rimango in casa vengo tentata dagli shops online, o dalle semplici idee partorite dalla mia testolina in merito a outfit da creare partendo da cose che ho già ma che poi finiscono per mancare di un pezzo fondamentale che deve essere acquistato?
Forse il problema maggiore non è nemmeno questa smania di comprarecomprarecomprare. Forse il problema è che non mi accontento che ne so, del mercato. No. E se per quanto riguarda il vestiario vero e proprio il massimo è Zara, e per le scarpe il mio adorato Asos, il casino arriva con le BORSE. Sono quelle che, prima o poi, mi (ci) manderanno in rovina, I know!
Si forse sono malata di shopping, ha ragione mia mamma. Sono una shopaholic.
La mia "malattia" si acuisce in periodi come questo, quando si avvicina l'inizio di una nuova stagione e nei negozi ci sono i nuovi arrivi. Comincio a stilare wishlist paurose. Che vanno dalla Balenciaga del colore improponibile (mi piacciono tutti), al vestitino di Zara, alle mary jane di Miu Miu, al completino di Intimissimi (fra un po' ho più completini intimi che vestiti, ed ho detto tutto), alla clutch con il teschio di Alexander McQueen (che non avrò mai), allo smalto di Chanel che costa "solo" 20 euro, eccetera eccetera. Potrei andare avanti per pagine e pagine.
Però i tempi in cui bastava che dicessi che era uscita una nuova Barbie e il giorno dopo ero al negozio a comprarla sono finiti. Sono cresciuta e lo so che non si può avere tutto quello che si vuole (nonostante a casa mia pensino che non l'abbia capito).
Quiiiiiiiindiiiiiiii.....forse è meglio se vado a togliere giusto qualcosina dalla wishlist di questo autunno-inverno!
PS: ah! La mia insoddisfazione non si esaurisce certo con il "bisogno" di abiti, scarpe e borse nuove. Ultimamente ho la “necessità” di cambiare macchina, nonostante la mia abbia solo 2 anni e qualche mese e sia stata ordinata nuova esattamente come la volevo ben nove mesi prima di avere la patente -non avrei proprio nulla di cui lamentarmi-. Ma questa è un'altra storia.
domenica 8 agosto 2010
Stessa spiaggia stesso mare.
Ci sono quei due nonni, che stanno qui tutta l’estate con i due nipoti, da sempre. E i nipoti che ormai sono grandi, che te li ricordi benissimo quando avevano lei tre anni e lui otto, e lei scappava e la sentivi chiamare a qualsiasi ora del giorno da quella povera nonna che non sapeva come fare per tenerla buona. E ora di anni ne ha dodici e ne dimostra quindici e la nonna continua a lamentarsi perché risponde male ed è sempre in giro. E il fratello invece non viene quasi mai perché è grande, ha la macchina e fa come vuole.
Ci sono altri due nonni, quelli che qui venivano anche quando i nipoti non li avevano e avevano solo i figli. Poi sono diventati nonni e venivano con il nipote. Poi un anno è saltata fuori un’altra nipote. E poi un’altra ancora.
C’è quella coppia, che nei tuoi primi ricordi ha due figli -perché quando ne avevano solo una eri troppo piccola- ma tua madre se li ricorda anche da fidanzati, e poi sono arrivati con la terza figlia, e poi con il quarto. E ora lei si lamenta perché i bimbi (non suoi) giocano a pallone in spiaggia.
C’erano quel signore e quella signora, con cui si fermava sempre a parlare tuo fratello quando non aveva nemmeno due anni, che poi hanno smesso di venire quando il babbo di lei si è ammalato.
C’è la bambina amica di tuo fratello che era piccolina (minuta e bassina) fino a qualche anno fa e adesso è “fuori-misura” nel senso opposto.
C’è quello del negozio, che è uguale a vent’anni fa e ogni volta non perde occasione di ricordarti che sei asociale (e in effetti è vero).
E poi ci sono i padroni del bagno, con i figli che erano ragazzi e adesso hanno moglie e figli (già grandini) a loro volta. E c’è il bagnino che…no, lui è sempre uguale a vent’anni fa.
Ci sono i nuovi vicini: mammapapàquattrobambiniecane. Con la neonata che piange tutto il giorno e gli altri tre che si rincorrono e litigano, e il babbo che urla ai bambini e la mamma che urla al babbo che non urli ai figli. E nel frattempo il cane abbaia, ovviamente.
E poi ci siamo noi, che veniamo qui da 21 anni. Tutte le estati della mia vita. E qui è proprio come essere a casa.
Ci sono altri due nonni, quelli che qui venivano anche quando i nipoti non li avevano e avevano solo i figli. Poi sono diventati nonni e venivano con il nipote. Poi un anno è saltata fuori un’altra nipote. E poi un’altra ancora.
C’è quella coppia, che nei tuoi primi ricordi ha due figli -perché quando ne avevano solo una eri troppo piccola- ma tua madre se li ricorda anche da fidanzati, e poi sono arrivati con la terza figlia, e poi con il quarto. E ora lei si lamenta perché i bimbi (non suoi) giocano a pallone in spiaggia.
C’erano quel signore e quella signora, con cui si fermava sempre a parlare tuo fratello quando non aveva nemmeno due anni, che poi hanno smesso di venire quando il babbo di lei si è ammalato.
C’è la bambina amica di tuo fratello che era piccolina (minuta e bassina) fino a qualche anno fa e adesso è “fuori-misura” nel senso opposto.
C’è quello del negozio, che è uguale a vent’anni fa e ogni volta non perde occasione di ricordarti che sei asociale (e in effetti è vero).
E poi ci sono i padroni del bagno, con i figli che erano ragazzi e adesso hanno moglie e figli (già grandini) a loro volta. E c’è il bagnino che…no, lui è sempre uguale a vent’anni fa.
Ci sono i nuovi vicini: mammapapàquattrobambiniecane. Con la neonata che piange tutto il giorno e gli altri tre che si rincorrono e litigano, e il babbo che urla ai bambini e la mamma che urla al babbo che non urli ai figli. E nel frattempo il cane abbaia, ovviamente.
E poi ci siamo noi, che veniamo qui da 21 anni. Tutte le estati della mia vita. E qui è proprio come essere a casa.
venerdì 23 luglio 2010
Addomesticami.
"Che cosa vuol dire 'addomesticare'?"
[...]
"E' una cosa molto dimenticata, vuol dire creare dei legami"
"Creare dei legami?"
"Certo -disse la volpe- Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo".
"Comincio a capire -disse il piccolo principe- C'è un fiore...credo che mi abbia addomesticato..."
[...]
"La mia vita è monotona [...] Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse.
"Che cosa bisogna fare?" domandò il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino..."
Il piccolo principe ritornò l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe. "Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
[...]
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangerò".
"La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
Poi soggiunse: "Va a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto".
[...]
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripetè il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripetè il piccolo principe per ricordarselo.
["Il piccolo principe" - Antoine de Saint-Exupéry]
[...]
"E' una cosa molto dimenticata, vuol dire creare dei legami"
"Creare dei legami?"
"Certo -disse la volpe- Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo".
"Comincio a capire -disse il piccolo principe- C'è un fiore...credo che mi abbia addomesticato..."
[...]
"La mia vita è monotona [...] Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse.
"Che cosa bisogna fare?" domandò il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino..."
Il piccolo principe ritornò l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe. "Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
[...]
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangerò".
"La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
Poi soggiunse: "Va a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto".
[...]
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripetè il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripetè il piccolo principe per ricordarselo.
["Il piccolo principe" - Antoine de Saint-Exupéry]
domenica 18 luglio 2010
Quando mi manca Londra.

"Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita. Perché a Londra si trova tutto ciò che la vita può offrire." - Samuel Johnson
Quando ero piccola sognavo di andare a Parigi. Credo di aver chiesto per la prima volta ai miei di portarmici verso i sei/sette anni. Non avevamo mai fatto viaggi. Un po' perché i miei non prendevano l'aereo (e nemmeno ora), un po' per il lavoro del babbo che lo lasciava libero ben poco, gli unici viaggi che avevo fatto fino a quel momento erano quelli per andare a trovare i parenti lontani e i viaggi estivi (tutti i weekend e gli ultimi 15 giorni di agosto) per andare al mare, nel *nostro* posto, dove mi hanno portato la prima volta quando avevo 5 mesi e vado ancora ora.
C'è voluto qualche anno ma alla fine, nel 2000, a Parigi mi ci hanno portato. Siamo andati in macchina, siamo rimasti poco perché il lavoro chiamava, però ero contenta lo stesso. E ci siamo divertiti. E mentre tornavamo verso casa abbiamo cominciato a parlare di fare ogni anno un viaggio, nel periodo di Pasqua. La meta prevista per l'anno successivo era Londra.
Ma l'anno dopo, non ricordo per quale motivo, non potemmo andare. E poi è arrivato mio fratello ed era troppo piccolo ecc ecc ecc. Insomma, alla fine a Londra non siamo andati.
Però alle medie ho cominciato a manifestare un interesse smodato per l'inglese. E poi, dopo un corso con un'insegnante madrelingua che ci aveva parlato di Londra con tanto di cartina geografica alla mano, anche per Londra.
Ho cominciato a chiedere di andare in vacanza studio, ma a detta della mamma ero troppo piccola. Fino al giorno in cui si è decisa. E alla fine, a 17 anni, a Londra ci sono andata.
15 giorni. E arrivata là sapevo tutto. Un po' perché quando faccio un viaggio è più forte di me, devo informarmi su tutto quello che c'è, un po' perché era tanto che aspettavo e non facevo altro che pensarci. (Che poi chissà perché questa cosa quasi morbosa!?)
In vacanza studio sono stata benissimo, nonostante alla partenza non conoscessi nessuno dei trenta che erano con me e la mia enorme timidezza, solo e unicamente perché finalmente ero a Londra.
Da quella vacanza sono tornata che Londra mi piaceva ancora di più di quando ero partita, e allora non sognavo più solo di farci un viaggio, ma di andare a viverci. E da Londra ero tornata con anche un'amica in più, che continuavo a sentire e con la quale, un anno e mezzo dopo, a Londra sono ritornata.
Quella mattina di fine dicembre, da qui sono partita da sola. Con lei mi sarei trovata all'areoporto di Gatwick, da lì avremmo raggiunto il centro e avremmo passato il Capodanno a Londra, quella città di cui entrambe ci eravamo innamorate durante la vacanza studio.
E ancora una volta non sarei voluta tornare. E sono tornata ancora più convinta di volerci andare a vivere.
Dopo appena sei mesi ero di nuovo lì. Ed era sempre la stessa storia. A Londra sto troppo bene. E' come se fosse un po' casa mia. Abbiamo un rapporto speciale, io e Londra.
Sono passati quasi due anni da quando ci sono stata l'ultima volta. Tanto, troppo tempo. Però ogni volta che qualcosa non va per il verso giusto, ogni volta che sto male per qualcosa, io sento il bisogno di andare a rifugiarmi là. Mi manca terribilmente. Non so per quale motivo sia così.
Da un anno e mezzo a questa parte capita spesso che qualcosa non vada, che qualcuno mi deluda o che, semplicemente, non stia bene qui, mi manchi una persona. E allora scapperei volentieri *là* e magari cerco il volo, l'albergo. Ma solitamente mi passa ancora prima che riesca a prenotare e non se ne fa di nulla. Quindi non so in realtà quando ci tornerò.
Però so che questa volta sarò da sola. Sì, andrò da sola o al massimo con qualcuno che condivida il mio stesso amore per Londra, perché di fare le solite cose da turisti non ho voglia. Voglio perdermi fra le strade, nei parchi, nei posti che non ho visto e in quelli che mi sono piaciuti di più. Voglio andare con calma, senza la fretta del "devo vedere questoquestoequesto".
Voglio tornare a Londra, sì.
venerdì 16 luglio 2010
Il coraggio.
"E’ la molla della vita, il coraggio. Accendemmo il fuoco perché avemmo coraggio. Uscimmo dalle caverne perché avemmo coraggio. Ci gettammo in acqua e poi in cielo perché avemmo coraggio. Inventammo le parole e i numeri, affrontammo le fatiche del pensiero, perché avemmo coraggio. La storia dell’Uomo è innanzitutto e soprattutto una storia di coraggio: la prova che senza il coraggio non fai nulla, che se non hai coraggio nemmeno l’intelligenza ti serve. E il coraggio ha molti volti: il volto della generosità, della vanità, della curiosità, della necessità, dell’orgoglio, dell’innocenza, dell’incoscienza, dell’odio, dell’allegria, della disperazione, della rabbia, e perfino della paura cui rimane spesso legato da un vincolo quasi filiale. Però esiste un coraggio che non ha niente a che fare con quei tipi di coraggio: il coraggio cieco e sordo e illimitato, suicida, che nasce dall’amore. Non ha confini il coraggio che nasce dall’amore. Non ha confini il coraggio che nasce dall’amore e per amore si realizza. Non tiene conto di alcun pericolo, non ascolta nessuna forma di raziocinio. Pretende di muovere le montagne e spesso le muove. A volte, invece, ne viene schiacciato."
["Insciallah", Oriana Fallaci]
["Insciallah", Oriana Fallaci]
giovedì 8 luglio 2010
domenica 16 maggio 2010
It's just Death.
"According to Elisabeth Kubler-Ross, when we are dying or have suffered a catastrophic loss, we all move through five distinct stages of grief. We go into denial because the loss is so unthinkable we can't imagine it's true. We became angry with everyone, angry with survivors, angry with ourselves. Then we bargain. We beg. We plead. We offer everything we have, we offer our souls in exchange for just one more day. When the bargaining has failed and the anger is too hard to mantain, we fall into depression, despair, until finally we have to accept that we've done everything we can. We let go. We let go and move into acceptance."
Secondo la psichiatra svizzera Elizabeth Kubler-Ross nel momento in cui ci viene diagnosticata una malattia grave o dobbiamo elaborare un lutto passiamo attraverso cinque fasi.
La prima fase è quella della negazione. Quando sembra impossibile che stia accadendo proprio a te. Sembra un brutto sogno e aspetti inutilmente di svegliarti perchè finisca. Ma la negazione è utile al paziente per proteggersi dall'ansia della morte e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi.
La seconda fase è quella della rabbia. La rabbia verso se stessi, verso chi ci è vicino, verso una qualche entità superiore. E' la fase del "perchè proprio a me?". E si arriva ad una richiesta di aiuto. O al rifiuto dell'aiuto.
La terza fase è quella della contrattazione. E' il momento in cui si cerca qualcosa da fare per risolvere la situazione. Qualcosa verso cui investire le proprie speranze. Arrivando a contrattare.
La quarta fase è quella della depressione. E' il punto in cui si comincia a prendere consapevolezza di quello che sta accadendo. E' il punto in cui il dolore è più forte, e forse è proprio questo che aiuta la presa di coscienza. Non si può più negare e ci si rende conto che non si può più far niente. E' distinta in altre due fasi: una reattiva e una preparatoria. Quella reattiva è conseguente alla presa di coscienza di ciò che si sta perdendo. Quella preparatoria ha un aspetto anticipatario rispetto alle perdite che si stanno per subire.
La quinta ed ultima fase è quella dell'accettazione. Il paziente, dopo l'elaborazione di quanto sta succedendo, arriva ad un'accettazione della propria condizione. Possono essere ancora presenti episodi di rabbia e depressione ma si manifestano con minore intensità.
Quindi, mi scusi Elizabeth Kubler-Ross, ma io a che punto sarei?
Ora, passato un anno e quattro mesi e tredici giorni quanto mi manca per raggiungere uno stato di accettazione del lutto definitivo?
A me sembra di aver passato unannoquattromesietredicigiorni a saltellare fra una fase e l'altra. Oggi qui, domani lì. Ora qui, fra un minuto di là.
E in effetti la teoria stessa sostiene che siamo tutti diversi. Che per ognuno di noi la durata delle fasi è diversa. Che l'ordine delle fasi non è per forza quello descritto. Che si può andare dalla prima alla quarta e poi indietro alla terza e poi la seconda e poi la quinta e poi di nuovo la prima.
Sinceramente, preferirei che le fasi fossero in ordine. Che una volta finito il percorso e arrivati all'accettazione lì si rimanesse. Invece, ho il vago sentore che il "balletto" fra le fasi continuerà per sempre.
E se ci penso sto male.
Che poi, sono davvero piccolissime cose, piccole coincidenze o piccoli gesti fatti da qualcuno che non sa nemmeno cosa possono evocare in te, che ti portano a passare da una fase all'altra.
Basta una macchina simile in lontananza. Magari ne vedi passare 10 in una giornata, ma quella che vedi sbucare ad un tratto, mentre sei immersa nei tuoi pensieri, da lontano, sembra lui. E poi non è e ci resti male. Perchè non sarà mai più lui a svoltare l'angolo. Mai più.
Basta che la mamma giri la chiave nella toppa per aprire il portone e il portachiavi, il suo portachiavi, faccia il solito tintinnio. Era il tintinnio che faceva lui. Era quel tintinnio che ti faceva capire che era entrato lui e non qualcun'altro se non avevi sentito il rumore della macchina. E lì per lì drizzi le orecchie, ma poi ti riprendi. Perchè non sarò mai più lui ad entrare dalla porta e fare il tintinnio con il portachiavi. Mai più.
Basta trovare per caso una vecchia foto. Guardarsi qualche anno fa. A casa, al mare, ovunque. Quei sorrisi, il bimbo piccolo in braccio e sapere che in braccio non lo terrà mai più. E se pensi che poi, a quel bimbo piccolo, dovrai spiegarne il perchè, ti prende ancora peggio.
Basta aprire lo sportellino del mobiletto del bagno e vedere il suo spazzolino. Basta andare in camera e vedere le ciabatte ancora accanto al comodino, i vestiti ancora nell'armadio. Da un anno e quattro mesi e tredici giorni. Ma tanto, non serviranno più.
Basta una domenica qualsiasi. Partite alla tv e non c'è nessuno sul divano a guardarle con me, tanto che io ho addirittura smesso di guardarle. Non era e non è più molto divertente.
Basta che l'Inter vinca la Coppa Italia e lo Scudetto. E come se non bastasse anche la Champions. Perchè proprio ora che non c'è lui? Lui, che sarebbe stato così contento!?
Si, direi proprio che continuo ad andare in qua e là fra le fasi. E non mi piace neanche un po'. Soprattutto perchè so che non passerà. Lo stallo in fase cinque non ci sarà mai. Come mi sono venute in mente queste sei cose in due minuti, in tutta la vita sai quante ce ne saranno che me lo faranno tornare in mente?
Ma ormai. Ormai è così.
lunedì 10 maggio 2010
sabato 24 aprile 2010
A "little" problem.
Qual è il "little problem"?
E' un certo "Diritto Costituzionale".
Già. Io e il diritto costituzionale abbiamo una relazione, aperta e complicata, da ormai quasi tre mesi. (eh, il gergo di facebook ha contagiato tutti. Non che sia una bella cosa, ma si è impossessato anche di me.)
Insomma. Mi piace. Ma abbiamo ancora qualche piccolo problema.
Ci sono argomenti che capisco al volo. E allora divoro il capitolo. So quello che c'è scritto e che dovrò dire in sede di esame alla perfezione. Ma poi ci sono anche capitoli che proprio non riesco a portare a termine. E mi restano solo dei vuoti pazzeschi, incolmabili. E magari ci torno sopra. Ma il vuoto resta.
Ecco. Mi piace. Ma non del tutto.
Però come si fa? Come faccio a farmi piacere ogni singola parte del libro? Come faccio a sapere tuttotuttotutto (va beh dai, quasi tuttotutto) per l'esame?
Non che punti alla perfezione, ma un voto quantomeno decente lo vorrei.
Ma no. Ci sono degli argomenti che proprio non entrano in questa testaccia. Purtroppo.
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E alla fine siamo anche riuscite a tornare, per fortuna!
Mesi che vuoi andare via qualche giorno. Basta un weekend.
Mesi che pensi a dovecomequando andare.
E poi parti. Finalmente.
Destinazione Valencia.
Arrivi. Ti sistemi in hotel. Il giorno dopo cominci a girare la città.
Plaza de Toros. L'Ayuntamiento. La Lonja. La cattedrale. Il mercato.
La Ciutat de las Artes y la Ciencias. Il Bioparc. Il mare.
Poi arriva il giorno della partenza.
Sei contenta di essere stata fuori. Di aver visto un posto nuovo.
Però sei contenta anche di tornare a casa.
Sapendo del caos voli per l'eruzione del vulcano in Islanda guardi tutti i tg possibili e immaginabili. L'ultimo appena prima di uscire per andare in spiaggia. Areoporti riaperti. Bene.
Ma. Ma. Ma. Surprise! Indiscrezioni da qualche parente danno il volo per cancellato.
Ecco. Ci mancava solo questa.
Vai in areoporto. Senza passare dall'hotel chè è inutile portarsi dietro 50 chili di valigie quando non sai se partirai o no. Arrivi. Il tabellone segna il volo come attivo. La signorina al desk della Ryanair però non è della stessa opinione e ti dice che è cancellato. C'è posto su quello di giovedì. Cioè 4 giorni dopo.
Altre persone nella tua situazione ti dicono che stanno organizzando un pullman. Aspetti per sapere secomequandoedadove parte. Alla fine non se ne fa nulla.
Vai in albergo a prendere le carte di imbarco e torna in areoporto.
La signorina ti dice che sul volo del giovedì non c'è più posto. Ce ne sono due su quello del venerdì. Noi siamo tre. Alla fine ne prendiamo uno del giovedì diretto in un'altra città. Saremo a casa il venerdì dopo volo e tre ore di treno. Sempre meglio che niente.
Ma. Ma. Ma. Surprise un'altra volta! Il giorno dopo vai sul sito della Ryanair per vedere di preciso l'orario del tuo nuovo volo e in home page vedi che sono già stati cancellati anche alcuni voli del tuo giorno. Scorri la pagina, leggi tutta la lista. Preghi che no, il tuo sia ancora attivo perchè cavolo, vuoi andare a casa!!! E invece. C-a-n-c-e-l-l-a-t-o. Anche questo. NO.
Perfetto. Che si fa?? Si aspetta il giovedì?? Si cerca un mezzo alternativo??
Opti per la seconda e ti metti all'opera.
Treni. Pullman. Macchine a noleggio. Le pensi tutte.
E alla fine l'unica cosa che trovi è: traghetto da Barcellona a Civitavecchia.
Il che vuol dire: 3 ore e mezzo di treno per andare a Barcellona, oltre 20 ore di traversata e 3 ore e mezzo di macchina per essere a casa da Civitavecchia.
Non hai molte alternative. O ti spari 33 ore di viaggio. O rimani lì e chissà quando riparti.
Bene. In marcia. Partite da Valencia alle 14 del mercoledì, arrivate a casa alle 23 del giovedì. Insomma, un viaggetto da nulla.
Però finalmente siamo a casa. E questo è l'importante. Il resto è un dettaglio (anche se mentre "dormivi" su quella cavolo di poltrona non ti sembrava mica tanto un dettaglio!).
A parte questo.
FOTOFOTOFOTO. :)
Mesi che pensi a dovecomequando andare.
E poi parti. Finalmente.
Destinazione Valencia.
Arrivi. Ti sistemi in hotel. Il giorno dopo cominci a girare la città.
Plaza de Toros. L'Ayuntamiento. La Lonja. La cattedrale. Il mercato.
La Ciutat de las Artes y la Ciencias. Il Bioparc. Il mare.
Poi arriva il giorno della partenza.
Sei contenta di essere stata fuori. Di aver visto un posto nuovo.
Però sei contenta anche di tornare a casa.
Sapendo del caos voli per l'eruzione del vulcano in Islanda guardi tutti i tg possibili e immaginabili. L'ultimo appena prima di uscire per andare in spiaggia. Areoporti riaperti. Bene.
Ma. Ma. Ma. Surprise! Indiscrezioni da qualche parente danno il volo per cancellato.
Ecco. Ci mancava solo questa.
Vai in areoporto. Senza passare dall'hotel chè è inutile portarsi dietro 50 chili di valigie quando non sai se partirai o no. Arrivi. Il tabellone segna il volo come attivo. La signorina al desk della Ryanair però non è della stessa opinione e ti dice che è cancellato. C'è posto su quello di giovedì. Cioè 4 giorni dopo.
Altre persone nella tua situazione ti dicono che stanno organizzando un pullman. Aspetti per sapere secomequandoedadove parte. Alla fine non se ne fa nulla.
Vai in albergo a prendere le carte di imbarco e torna in areoporto.
La signorina ti dice che sul volo del giovedì non c'è più posto. Ce ne sono due su quello del venerdì. Noi siamo tre. Alla fine ne prendiamo uno del giovedì diretto in un'altra città. Saremo a casa il venerdì dopo volo e tre ore di treno. Sempre meglio che niente.
Ma. Ma. Ma. Surprise un'altra volta! Il giorno dopo vai sul sito della Ryanair per vedere di preciso l'orario del tuo nuovo volo e in home page vedi che sono già stati cancellati anche alcuni voli del tuo giorno. Scorri la pagina, leggi tutta la lista. Preghi che no, il tuo sia ancora attivo perchè cavolo, vuoi andare a casa!!! E invece. C-a-n-c-e-l-l-a-t-o. Anche questo. NO.
Perfetto. Che si fa?? Si aspetta il giovedì?? Si cerca un mezzo alternativo??
Opti per la seconda e ti metti all'opera.
Treni. Pullman. Macchine a noleggio. Le pensi tutte.
E alla fine l'unica cosa che trovi è: traghetto da Barcellona a Civitavecchia.
Il che vuol dire: 3 ore e mezzo di treno per andare a Barcellona, oltre 20 ore di traversata e 3 ore e mezzo di macchina per essere a casa da Civitavecchia.
Non hai molte alternative. O ti spari 33 ore di viaggio. O rimani lì e chissà quando riparti.
Bene. In marcia. Partite da Valencia alle 14 del mercoledì, arrivate a casa alle 23 del giovedì. Insomma, un viaggetto da nulla.
Però finalmente siamo a casa. E questo è l'importante. Il resto è un dettaglio (anche se mentre "dormivi" su quella cavolo di poltrona non ti sembrava mica tanto un dettaglio!).
A parte questo.
FOTOFOTOFOTO. :)
mercoledì 14 aprile 2010
Primavera
Un fiore non è niente di speciale. Lo so.
La Primavera è solo una stagione. So anche questo.
Però.
Però è la mia stagione preferita. Perché mi mette allegria. Anche più dell'estate.
Non c'è una ragione precisa, però anche in questi giorni, che non ho proprio nulla per cui essere allegra, lo sono. Tutta "colpa" delle giornate più lunghe, dei colori, del sole.
Beh, meglio così. Menomale che è arrivata. :)
domenica 11 aprile 2010
C'era una volta un blog.
Ora ne ho un altro. Anche questo nato in una domenica pomeriggio passata in casa. Anche questo nato in uno dei miei periodi "un po' così". Però speriamo che questa volta duri di più, che riesca a tenerlo aggiornato costantemente e che non lo abbandoni dopo due giorni come faccio di solito con un sacco di cose. Ce la farò??
By the way. Mi chiamo Francesca. Sono al primo anno di Giurisprudenza ma sto meditando il passaggio a Scienze politiche. Mi piace viaggiare, mi piace la moda, mi piace la fotografia. Sono incasinata. E spesso non mi capisco nemmeno io. E poi sono tremendamente disordinata, la mia camera sembra perennemente un campo di battaglia. A volte sono stronza. A volte troppo buona. Spesso rompiscatole. Non ho vie di mezzo in niente. E sono egocentrica.
Ok, penso che come prima descrizione possa bastare. :)
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